L’art 464-bis cpp stabilisce che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova di cui all’art. 168-bis cp può essere proposta fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio; se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l'atto di opposizione. Tali scadenze sono tutte relative al giudizio di primo grado e non è prevista alcuna disciplina transitoria, così che il nuovo istituto, introdotto dalla legge n. 67 del 2014, non si applica nei processi in cui tali scadenze siano già state superato al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa.
Il Tribunale di Brindisi – essendo stata avanzata richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nella prima udienza utile successiva all’entrata in vigore della legge n. 67/2014, quando già superati i termini stabiliti - con ordinanza del 17.12.2014 ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 117, comma 1, Cost. ed all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con riferimento all'art. 464-bis comma 2 cpp, nella parte in cui prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova "può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo".
Evidenziata la rilevanza della questione [i reati in contestazione rientravano fra quelli per i quali può essere disposta la messa alla prova e sussistevano tutti gli altri elementi in virtù dei quali l'imputato avrebbe potuto essere ammesso a tale beneficio laddove la sua istanza non fosse stata tardiva secondo la disciplina vigente] il Tribunale ha esaminato la fondatezza del dubbio di costituzionalità rilevando come l'art. 464-bis comma 2, cpp introduca un limite all'applicabilità retroattiva della più favorevole disciplina della "messa alla prova", allorché, al momento dell'introduzione dell'istituto, sia stata superata la fase processuale entro la quale la sospensione del procedimento con la messa alla prova può essere richiesta dall'imputato.
Alla ritenuta non manifesta infondatezza si è giunti richiamando la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, poiché nell'ordinamento interno il principio di retroattività della disposizione penale più favorevole al reo, sancito dall'art. 2, commi 2, 3 e 4 cp, non è costituzionalizzato dall'art. 25 della Costituzione, che si limita a prevedere l'irretroattività delle norme incriminatrici ed in generale delle norme penali più severe e, per conseguenza, è derogabile dalla legislazione ordinaria.
A livello sovranazionale il principio di retroattività della legge penale più favorevole è riconosciuto anche dal diritto internazionale e comunitario dall'art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e dall'art. 49, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, recepita dal Trattato di Lisbona. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con sentenza 17.09.2009 (Scoppola c/o Italia) ha stabilito che l'art. 7 par. 1 della Convenzione non sancisce solo il principio dell'irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche quello della retroattività della legge penale più favorevole intervenuta dalla commissione del fatto fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Tale prescrizione in tema di applicazione retroattiva della legge penale più favorevole deve trovare applicazione anche in Italia; secondo la Corte costituzionale le norme della CEDU integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma 1, della Costituzione nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (Corte Cost., sentenze n. 113/2011, n. 196/2010, n. 311/2009).
Il Tribunale evidenzia poi come la disciplina della messa alla prova non ha natura di norma processuale, ma di norma penale sostanziale: infatti l'istituto della sospensione del procedimento con messa della prova presenta profili di carattere processuale ma anche elementi di carattere sostanziale trattandosi di una nuova causa di estinzione del reato inserita nel codice penale che consegue all’adempimento di un programma che implica misure limitative della libertà del soggetto, come riconosciuto dalla Corte di cassazione, che ha rimesso alle SS.UU. la questione relativa all'ammissibilità nel giudizio di cassazione della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (Cass., Sez. IV, ordinanza 9 luglio 2014): inoltre anche la Corte costituzionale (sentenza n. 393/2006) ha precisato che l'ambito di operatività del principio di retroattività in mitius non deve essere limitato alle sole disposizioni concernenti la misura della pena, ma va esteso a tutte le norme sostanziali che, pur riguardando profili diversi dalla sanzione in senso stretto, incidono sul complessivo trattamento riservato al reo e, a tal proposito, sono evidenti le finalità della nuova disciplina, individuabili non solo e non tanto in ragioni deflattive ma anche nelle esigenze risocializzatrici, come risulta dalla centralità della previsione obbligatoria del lavoro di pubblica utilità.
Così riconosciuta dunque la natura di norma di diritto penale sostanziale, che, in quanto norma sostanziale più favorevole rispetto alla disciplina precedente, dovrebbe trovare applicazione anche con riferimento ai processi in corso, il Tribunale ha ritenuto che la deroga al principio di retroattività della norma penale più favorevole non possa essere giustificata da altre esigenze, comunque subordinate al fondamentale diritto dell'imputato di accedere, in ogni momento, ad un sopravvenuto istituto idoneo a determinare l'estinzione del reato a lui ascritto. Anche la Corte Costituzionale ha escluso che "valori costituzionali" coinvolti nel processo possano essere vanificati rispetto ad istanze riferibili ad un utile ed efficace svolgimento della funzione giurisdizionale (Corte Cost., ordinanza n. 204 del 2001 e n. 399 del 2001).
La stessa esigenza di ragionevole durata del processo e di non dispersione del materiale probatorio non sarebbero frustrate per effetto dell'applicazione retroattiva della nuova disciplina in quanto, ad esempio, il materiale probatorio raccolto nel corso del dibattimento potrebbe essere proficuamente recuperato in favor rei ai fini del giudizio sull'idoneità del programma di trattamento presentato, sulla sua durata e per la formulazione della prognosi di non recidiva: Peraltro tale materiale istruttorio potrebbe essere utilizzato ai fini della decisione in caso di revoca o esito negativo della prova.
Secondo il Tribunale pertanto l'art. 464-bis comma 2 cpp, nella parte in cui prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ''può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo", non è compatibile con il principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7 CEDU, nell'interpretazione datane dalla Corte europea. Né tale contrasto è superabile in via interpretativa poiché l'istituto della "messa alla prova" presenta anche una connotazione tipicamente processuale nel senso che il beneficio sostanziale previsto dalla nuova normativa risulta rigidamente vincolato a termini processuali espressi e tassativi, superabili solo attraverso una pronuncia della Corte Costituzionale che, intervenendo sulla norma censurata, renda accessibile la "messa alla prova" oltre il termine della "dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo".
Il Tribunale ha quindi dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 117, comma 1, Cost. ed all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con riferimento all'art. 464-bis comma 2 c.p.p., nella parte in cui prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova "può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo".