La Cassazione (sentenza n. 10334/19, depositata l’8 marzo) conferma la giurisprudenza secondo la quale nel processo penale, non è consentita alle parti private l’utilizzazione della posta elettronica certificata per le comunicazioni, notificazioni né per il deposito di istanze.
In proposito i giudici di legittimità richiamano l’art. 16, comma 14, del DL n. 179/2012, conv. in legge n. 221/2012 a norma del quale nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate con modalità telematica all’indirizzo pec risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni e gli art.li 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151-bis, c.p.p. a norma dei quali la medesima modalità è prevista poi per le notificazioni a persona diversa dall’imputato: «la genesi e la complessiva disciplina della posta elettronica certificata depongono, in modo univoco, nel senso di far ritenere che il legislatore abbia voluto limitare, nel processo penale, l’uso dello strumento di comunicazione in parola alle sole cancellerie».
Nel caso di specie era stato chiesto l’annullamento della condanna per violazione dell’art. 420-ter cpp per il mancato rinvio dell’udienza per assenza del difensore per adesione, regolarmente comunicata a mezzo pec, all’astensione proclamata dalla categoria: la Corte ha ritenuto infondata la censura poiché l’istante, pur avendo documentato l’inoltro dell’istanza di rinvio a mezzo pec e la regolare destinazione della stessa nella casella del registro generale della Corte d’Appello, non ha assolto all’onere di verificare che la stessa istanza fosse effettivamente pervenuta alla cancelleria del giudice procedente e tempestivamente posta alla sua attenzione.